La Striscia del Giorno

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mercoledì 5 dicembre 2007

Macchina di Atwood

La macchina, ideata intorno al 1780 da G. Atwood, professore di chimica a Cambridge, realizza in modo ingegnoso e versatile il dispositivo ottimale, compatibilmente con la tecnologia del tempo, per studiare il moto in caduta di un grave lungo la verticale. Al di sopra di due montanti di legno, alti circa 2,5 m, è fissato il tribometro, costituito da una carrucola e da due coppie di ruote di ottone interconnesse in modo da ridurre gli attriti meccanici. L'asse della carrucola poggia infatti sulla periferia comune a ciascuna coppia di ruote così che, quando è in rotazione, trasmette il suo moto a queste ultime trasformando attrito radente in attrito volvente.

Sulla gola della carrucola passa una fune sottile di seta ai cui estremi sono sospesi due cilindri di ottone di uguale massa M, in equilibrio indifferente. Aggiungendo una massa addizionale m « M a uno dei due cilindri, questo inizia a scendere con accelerazione a = mg/(2M+m), minore di g. In questo modo la macchina di Atwood consente di studiare il moto di un grave, diminuendone l'accelerazione e quindi la velocità di caduta, come nel piano inclinato. Si possono così verificare le leggi del moto uniformemente accelerato (v = at, s = (1/2) a t2, ecc.) misurando gli spazi percorsi dal grave su un regolo verticale, suddiviso in cm, e i tempi per mezzo di un pendolo con scappamento ad ancora che batte il secondo, scandito da un campanello azionato dall'asta del pendolo stesso.

Un sistema di leve consente al pendolo, una volta messo in moto, di comandare in modo sincrono la partenza del grave. Sul regolo sono fissati due cursori: il primo, ad anello, consente durante il moto di intercettare la massa addizionale in modo da realizzare un moto uniforme e verificare così la seconda legge della dinamica nel caso di un corpo soggetto a risultante delle forze nulla; l'altro, a disco, ha il compito di arrestare il moto del grave. La base della macchina poggia su quattro viti che servono a regolare l'ortogonalità dell'apparato rispetto al piano d'appoggio.

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